Negli ultimi mesi, grazie anche alle novità in materia di professioni, introdotte con il decreto correttivo di agosto settembre e poi con la legge di stabilità, votata in novembre, nell'ambito dell'avvocatura si è infiammato il dibattito.
Ad una estremità i liberisti radicali, per i quali sarebbe da abolire ordine professionale, al polo opposto coloro che vorrebbero tornare alla corporazione medievale, infischiandosene anche del diritto europeo.
Solitamente non amo le posizioni radicali, perchè, solitamente, si basano su travisamenti della realtà.
Le loro conclusioni non sono il frutto di un'analisi razionale dei fatti, ma la conferma di presupposti ideologicamente dati.
La riforma dell'avvocatura non fa eccezioni.
Io penso che siamo di fronte a una svolta: non è possibile pensare che si posso tornare alla figura dell'avvocato dei tempi di Carnelutti, quella è un'epoca finita per sempre.
E sono anche sicuro che i grandi maestri del diritto e dell'avvocatura non hanno mai pensato che l'avvocato potesse restare sempre lo stesso, mentre tutto intorno il mondo cambiava.
Ben vengano le società di capitali, ben venga una concorrenza vera ed effettiva e si abbattano, o ri riducano, le rendite di posizione che impediscono ai giovani meritevoli, privi di appoggi familiari, di affermarsi.
Sono convinto che la legge professionale dovrebbe limitarsi a stabilire quali siano e come si conseguano i requisiti professionali per poter essere avvocati, ma debba lasciare ciascun avvocato libero di decidere come impostare la propria attività professionale.
Gli unici limiti dovrebbero essere quelli posti dal codice civile, dal codice penale e, per quanto attiene ai rapporti con la clientela, al codice del consumo.
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