lunedì 19 dicembre 2011

La responsabilità dell'intermediario finanziario per i danni causati dal promotore

Spesso accade che il promotore finanziario commetta atti illeciti nei confronti dell'utenza, ad esempio sottraendo somme affidategli, oppure destinando somme a investimenti diversi da quelli per i quali tali somme erano state versate, oppure ancora violando gli obblighi che le legge impone nella promozione di investimenti finanziari.
In questi casi l'intermediario finanziario, nell'interesse del quale il promotore svolge la propria attività, risponde dei danni da questi arrecati.
Il principio è stabilito  dall'art. 31, Decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, cd. Testo Unico sulla Finanza (TUF), che, al comma 3 recita "Il soggetto abilitato che conferisce l'incarico è responsabile in solido dei danni arrecati a terzi dal promotore finanziario, anche se tali danni siano conseguenti a responsabilità accertata in sede penale."
Tale norma è estremamente importante per una migliore tutela dell'investitore, il quale, spesso, non potrebbe individuare, nel patrimonio del promotore finanziario, beni sufficienti a soddisfare il proprio diritto al risarcimento.
Senza parlare dei casi in cui il promotore si sia reso irreperibile.
La disposizione legislativa accoglie un orientamento giurisprudenziale, consolidatosi in precedenza, che era arrivato alla medesima conclusione applicando l'art. 2049 del codice civile, sulla base della considerazione che il promotore finanziario, anche prima della previsione normativa codificata  nel TUF, fosse un mandatario dell'intermediario finanziario.
La giurisprudenza, quindi, aveva  stabilito che sull'intermediario finanziario gravasse una responsabilità oggettiva per fatto altrui, potendo esso adottare dei sistemi di controllo sull'attività del soggetto scelto per svolgere la funzione di promotore, nonché di prevenzione del rischio, attraverso apposite assicurazioni.
In altre parole riteneva che non potesse gravare sul risparmiatore il rischio dell'attività illecita del promotore finanziario, ma che piuttosto esso potesse rientrare nel più ampio rischio di impresa, gravante sull'intermediario finanziario. 
Tale responsabilità potrà essere esclusa soltanto se l'intermediario fornirà la prova di aver esercitato tutto il controllo possibile sull'attività del soggetto, dimostrando che la condotta di quest'ultimo sia stata assolutamente imprevedibile, anche applicando il più rigoroso sistema di controllo esistente. 
Anche se, a livello giurisprudenziale, si era già arrivati a una tutela del risparmiatore -investitore, a mio parere è positivo che sia stata poi predisposta una disposizione legislativa ad hoc, in modo da eliminare dall'area delle opzioni giuridiche, eventualmente a disposizione dei tribunali, eventuali opinioni e pareri contrari, con il rischio di un mutamento nell'orientamento della giurisprudenza dominante. 

sabato 17 dicembre 2011

Il riconoscimento di debito effettuato dal curatore speciale di una società: un'interessante ordinanza del Tribunale di Roma

Con ordinanza del 25 novembre 2011, il Tribunale di Roma ha stabilito che, in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, non possa essere concessa la provvisoria esecutività al decreto ingiuntivo, a emesso sulla base di riconoscimento di debito del curatore speciale della società, nominato dal tribunale ai sensi dell'art. 78 cpc.

La vicenda è questa: alla morte dell'amministratore di una srl, gli esecutori testamentari si rivolgono al tribunale, con ricorso d'urgenza, per ottenere la nomina di un curatore speciale per l'amministrazione della società.
La vicenda era alquanto intricata ma, per quanto ci interessa qui, il Tribunale di Roma accoglie il ricorso e nomina uno degli esecutori, un dottore commercialista già consulente della società, curatore speciale.

Nell'espletamento dell'incarico il curatore speciale effettua anche un riconoscimento di debito a favore di un avvocato relativamente a delle parcelle, da questi presentate, a titolo di compenso per prestazioni professionali effettuate.

Terminato l'incarico, posta la società in liquidazione, il nuovo liquidatore rifiuta di saldare le suddette parcelle, sostenendo che tali compensi siano in realtà già stati pagati.

L'avvocato, a questo punto, ottiene un decreto ingiuntivo dal Tribunale di Roma, non dichiarato provvisoriamente esecutivo, nei confronti del quale la società si oppone, eccependo, tra le altre cose, la nullità del riconoscimento di debito, in quanto il curatore speciale non avrebbe potuto effettuarlo senza previa autorizzazione del Tribunale.

Il giudice accoglie l'eccezione, asserendo che il curatore speciale ex art. 78 cpc non ha la qualifica di rappresentante legale della società e, di conseguenza, non ha il potere di riconoscere la sussistenza di un debito a carico della società stessa.

La ricostruzione operata dal giudice, a mio parere, è corretta.
Il curatore speciale, nominato ex art. 78 cpc, infatti, non ha un autonomo potere di gestione degli interessi del rappresentato (in questo caso la società), né si sostituisce ad esso.
Il curatore ha, invece, il compito di assistere il rappresentato fin tanto che esso non possa assumere nuovamente le proprie funzioni in modo pieno.
Quindi il curatore speciale non è in grado di esprimere la volontà della società e, di conseguenza, non può neanche porre in essere atti di disposizione del patrimonio di essa.
  

venerdì 16 dicembre 2011

Crisi di impresa e strategie legali

Nel generale contesto della crisi economica e finanziaria vi sono alcuni settori di attività legali in espansione, mentre altri, per esempio quello delle operazioni straordinarie, sono chiaramente in fase recessiva.
Il settore anticiclico per definizione è quello del diritto fallimentare.
Non mi riferisco soltanto al diritto delle procedure concorsuali propriamente dette, fallimento, amministrazione straordinaria e liquidazione coatta amministrativa, ma anche, e soprattutto, alle cosiddette procedure negoziali per la gestione della crisi di impresa.
Nella legge fallimentare sono, in particolare, gli accordi per la ristrutturazione dei debiti e il concordato preventivo.
A mio parere si potrebbero accomunare tutte, e io lo faccio per semplicità, sotto il nome di ristrutturazione dei debiti, che potrebbe essere anche il nome di questa specifica practice per gli avvocati.
Sebbene poco conosciuta, nel mondo forense, questa tipologia di attività presenta molto interesse per l'avvocato, soprattutto per l'avvocato che voglia ritagliarsi un ruolo un poco diverso da quello, tradizionale, di "litigator".
L'avvocato, dotato di una buona preparazione in questo settore specialistico, rappresenta una figura indispensabile per l'impresa che si trovi a dover affrontare un carico debitorio ormai diventato molto consistente e pericolosamente vicino all'insolvenza, cioè alla situazione di incapacità strutturale di far fronte alla situazioen debitoria.
Diverse sono le strategie che si possono adottare, ma sempre, è necessario procedere a una ristrutturazione del debito, a meno che non si voglia percorrere vie, quale quella classica della bad company, miranti, sostanzialmente, a sottrarre gli asset ancora validi alla garanzia patrimoniale dei creditori.
L'impresa che voglia, invece, percorrere una via, finanziariamente più onerosa, ma legalmente più corretta e, probabilmente, più remunerativa in termini di reputazione e di immagine, ha a disposizione gli strumenti cui ho accennato prima.
Ristrutturare un bilancio in passivo non è cosa semplice, se l'impresa ha già dimensioni medie.
Nella piccola impresa si presenta, solitamente, in modo più semplice, ma non è scontato.
Una ristrutturazione non è mai indolore.
Solitamente è necessaria anche una riorganizzazione aziendale, con una riduzione delle spese, il che può voler significare cessione di rami di azienda, chiusura di alcuni segmenti produttivi o, anche, più semplicemente, riduzioni di personale.
Quasi sempre è necessario accelerare il recupero di crediti rimasti insoluti o, qualora ciò non fosse possibile in tempi ragionevoli, la loro cessione, che può far entrare liquidità preziosa nelle casse aziendali.
Si possono anche liquidare beni immobili, se ci sono, oppure individuare nuove forme di finanziamento.
Si possono fare molte altre cose, in realtà, mi sono limitato a elencare alcune di quelle più note.
Una cosa importante è che una ristrutturazione non può funzionare senza l'accordo con i creditori più importanti dell'impresa, con i quali è possibile negoziare dei  piani di rientro, ma che, in ogni caso, devono prestare un assenso.
Infatti, la legge fallimentare, prevede, tanto per gli accordi di ristrutturazione dei debiti, quanto per il concordato preventivo, che il piano proposto dal debitore sia approvato dalla maggioranza dei debitori.
Quanto ho scritto mi sembra renda evidente come l'avvocato, purché abbia una competenza reale nel settore  della crisi di impresa, ma anche del diritto societario, contrattuale e finanziario, sia un professionista indispensabile nell'elaborazione e attuazione di una strategia capace di risolvere una situazione di crisi dell'impresa, prima che si manifesti un' insolvenza conclamata.

domenica 11 dicembre 2011

Nuove frontiere per la professione forense

Con il Decreto 138 e la Legge di Stabilità per il 2012 è stata attuata una riforma della professione forense, ma direi di tutte le professioni regolamentate, che consentirà, finalmente, un'ampia libertà organizzativa agli avvocati e agli altri professionisti.
La riforma ha infatti reso possibile, tra le altre cose, l'esercizio dell'attività professionale in forma societaria, anche con soci iscritti in albi di altri paesi dell'Unione Europea e persino con soci per prestazioni tecniche o di investimento, il cosiddetto socio di capitale.
Per la maggior parte dei professionisti, che operano nei settori tradizionali in forma di studio individuale, non cambierà molto.
Ma per coloro che sono posizionati o hanno intenzioni di posizionarsi nei settori della consulenza legale, ma anche fiscale ed aziendale direi, lo strumento della società di capitali consente finalmente di potersi dare delle strutture competitive e adeguate a competere in questi mercati, ormai globalizzati.
D'altra parte, se non fossero state apportate queste modifiche legislative, le società di capitali professionali sarebbero comunque arrivate in Italia, grazie alle norme europee in materia di prestazioni di servizi.
L'ostilità di una parte dell'avvocatura mi sembra del tutto immotivata.
Essa si basa, per lo più, sulla paura di dover competere sul mercato e sull'idea che la professione si possa ancora svolgere come ai tempi di Chiovenda e di Carnelutti.
Ebbene, quell'epoca è finita per sempre.
Anche nell'attività relativa ai private clients, si vedono importanti cambiamenti nelle grandi città, che sono destinati ad allargarsi, prima o poi.
Ci sono i cosiddetti studi di strada, ad esempio, con il loro marketing aggressivo.
Con le società professionali, magari multidisciplinari, si potrà accedere più facilmente a capitali di investimento e questo costituirà l'occasione per i giovani, privi di mezzi propri, per poter accedere ai mercati di alto livello professionale, attualmente dominio assoluto dei professionisti ricchi.
I rischi connessi alle società di capitali?
Non ne vedo.
O meglio, non ne vedo di diversi rispetto a quelli attuali.
Dobbiamo cominciare a ragionare in termini di responsabilizzazione del singolo, e non di responsabilità corporativa.
Per cui, se singoli professionisti assumono comportamenti discutibili o poco etici, non ne risponde tutta la categoria, ma soltanto loro.

martedì 6 dicembre 2011

Liberalizzazioni parte 2

L'art 34 del Decreto Salva Italia contiene anche una disciplina di dettaglio sulla liberalizzazione e sburocratizzazione delle attività economiche.
In particolare, dopo che i commi 1 e 2 hanno ribadito il principio della libertà di accesso e di concorrenze in ogni settore della vita economica, in attuazione di principi costituzionali e del diritto europeo, il comme 3 recita:
"Sono abrogate le seguenti restrizioni disposte dalle norme vigenti:
a) la limitazione del numero di persone che sono titolate ad esercitare un'attività economica in tutto il territorio dello Stato o in una certa area geografica attraverso la concessione di licenze o autorizzazioni amministrative per l'esercizio;
a) il divieto di esercizio di una attività economica al di fuori di una certa area geografica e l'abilitazione a esercitarla solo all'interno di una determinata area;
b) l'imposizione di distanze minime tra le localizzazioni delle sedi deputate all'esercizio di una attività economica;
c) il divieto di esercizio di una attività economica in più sedi oppure in una o più aree geografiche;
d) la limitazione dell'esercizio di una attività economica ad alcune categorie o divieto, nei confronti di alcune categorie, di commercializzazione di taluni prodotti;
e) la limitazione dell'esercizio di una attività economica attraverso l'indicazione tassativa della forma giuridica richiesta all'operatore;
f) l'imposizione di prezzi minimi o commissioni per la fornitura di beni o servizi.
g) l'obbligo di fornitura di specifici servizi complementari all'attività svolta".

Sembra abbastanza chiaro.
Con questa disposizione dovrebbero cadere tutta una serie di vincoli che molti comuni ed enti vari continuano a porre in relazione a numerose attività economiche.
D'ora in avanti chi incorrerà in simili divieti avrà uno strumento giuridico da utilizzare in giudizio contro l'amministrazione.
I commi successivi stabiliscono che eventuali restrizioni saranno un'eccezione tassativa al principio generale di libertà, e dovranno comunque essere improntate al principio di proporzionalità e compatibili con i principi dell'ordinamento dell'Unione Europea.



Nuove liberalizzazioni

Nel Decreto Salva Italia, accanto alle numerose disposizioni in materia previdenziale, fiscale e finanziaria, vi sono anche alcune interessanti disposizioni in materia di liberalizzazione e di concorrenza.
Vorrei vedere qua alcune di quelle che mi sembrano più interessanti.
In particolare l'art. 31 recità, comma 2, recita così:
" Secondo la disciplina dell'Unione Europea e nazionale in materia di concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi, costituisce principio generale dell'ordinamento nazionale la libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura, esclusi quelli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell'ambiente e dei beni culturali. Le Regioni e gli enti locali adeguano i propri ordinamenti alle prescrizioni del presente comma entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto."
Dal punto di vista giuridico, la norma codifica, all'interno dell'ordinamento nazionale, il principio della libertà di apertuta di nuovi esercizi commerciali, attuazione del più generale principio europeo della libertà di stabilimento, di prestazione di servizi senza alcun limite di contingentamento, territoriale o di qualsiasi altra natura.
Il principio mi sembra particolarmente importante, in quanto, a livello legislativo generale, pur essendo una norma di legge ordinaria, essendo applicazione di un principio "costituzionale" europeo, può prevalere su qualsiasi altra norma, anche di carattere legislativo, che sia eventualmente approvata dallo Stato italiano e che sia con essa incompatibile.
Sicuramente essa prevale sulle disposizioni di carattere regolamentare o amministrativo, che, in realtà, sono quelle che più spesso limitano le libertà economiche e, in particolare, la concorrenza.
In parole povere, le amministrazioni comunali non potranno più porre limiti all'apertura di nuovi esercizi commerciali ed, eventuali atti amministrativi in tal senso, o regolamenti, potranno essere impugnati avanti all'autorità giudiziaria e dichiarati invalidi.

domenica 4 dicembre 2011

Un nuovo ruolo per l'avvocato

Negli ultimi mesi, grazie anche alle novità in materia di professioni, introdotte con il decreto correttivo di agosto settembre e poi con la legge di stabilità, votata in novembre, nell'ambito dell'avvocatura si è infiammato il dibattito.
Ad una estremità i liberisti radicali, per i quali sarebbe da abolire ordine professionale, al polo opposto coloro che vorrebbero tornare alla corporazione medievale, infischiandosene anche del diritto europeo.
Solitamente non amo le posizioni radicali, perchè, solitamente, si basano su travisamenti della realtà.
Le loro conclusioni non sono il frutto di un'analisi razionale dei fatti, ma la conferma di presupposti ideologicamente dati.
La riforma dell'avvocatura non fa eccezioni.
Io penso che siamo di fronte a una svolta: non è possibile pensare che si posso tornare alla figura dell'avvocato dei tempi di Carnelutti, quella è un'epoca finita per sempre.
E sono anche sicuro che i grandi maestri del diritto e dell'avvocatura non hanno mai pensato che l'avvocato potesse restare sempre lo stesso, mentre tutto intorno il mondo cambiava.
Ben vengano le società di capitali, ben venga una concorrenza vera ed effettiva e si abbattano, o ri riducano, le rendite di posizione che impediscono ai giovani meritevoli, privi di appoggi familiari, di affermarsi.
Sono convinto che la legge professionale dovrebbe limitarsi a stabilire quali siano e come si conseguano i requisiti professionali per poter essere avvocati, ma debba lasciare ciascun avvocato libero di decidere come impostare la propria attività professionale.
Gli unici limiti dovrebbero essere quelli posti dal codice civile, dal codice penale e, per quanto attiene ai rapporti con la clientela, al codice del consumo.